martedì 27 novembre 2012

La rivolta


Entro nella tua stanzetta sospinto alle spalle da un tetro splendore di calda luce solare che rende il mio elegante vestito scuro simile al nero. Il mio volto nascosto dalla mia stessa ombra sogghigna nel vederti seduta sul letto a fissarmi con determinazione, ma, seppur cerchi di mascherarlo con la tua sfida, noto un briciolo di panico nei tuoi occhi. Mi avvicino lentamente al tuo letto, osservando il tuo respiro che diventa insicuro mentre mi guardi arrotolarmi la camicia sino ai gomiti; tu sai cosa voglio e serri la mascella mentre fatichi a deglutire, la paura si alza nella tua mente come una debole nebbia sopra un silenzioso acquitrino in una gelida mattina autunnale, offuscandoti la mente e nascondendoti ancora una volta la via per la libertà. La Libertà: brillante stella del mattino, luce della vita e fonte di speranza. Luce nel tuo cuore, luce che spezza le catene, luce nei tuoi occhi che ti fa riconoscere le tue pene. Tuttavia la libertà ha un prezzo che ognuno è costretto a pagare: uscire dall’inerzia e combattere!

I tuoi occhi, prima spaventati, or diventano sempre più determinati. Io mi accorgo del repentino cambiamento e ti osservo calcolatore. Lentamente muovi la tua mano fino ad afferrare il cuscino steso dietro di te e con velocità felina me lo scagli contro con tutta la forza che ancora possiedi. Ma il morbido proiettile rimbalza contro le mie braccia alzate come contro un muro e rovina a terra con un soffice tonfo, perdendo una candida piuma che vorticosamente fluttua per l’angusta stanzetta trascinata dalla corrente della tua fuga.

Scatti fuori dalla camera da letto e ti precipiti nella soleggiata anticamera. Ma io ti sono alle calcagna e prima che riesci ad aprire la porta dell’appartamento ti raggiungo con un balzo e ti afferro per il polso. Con forza ti contorco il braccio dietro la schiena e ti schiaccio con la mia mole la faccia contro la porta. Rimani immobile e ansimante mentre io assaporo l’odore dei tuoi capelli sudati e non lavati da tempo. Con gusto ti bacio la spalla e la base del tuo collo per poi risalirlo con la lingua fino all’orecchio. Con la mano libera m’infilo sotto la tua camicetta strappata per tastare il tuo morbido seno ed il tuo capezzolo turgido. La mia eccitazione cresce e i passionali baci si trasformano sempre più in avidi morsi al tuo innocente collo salato. Devo chiudere gli occhi per reprimere l’impulso irrefrenabile di affondare troppo profondamente i miei denti nella tua carne. Il pensiero di lacerarti i tessuti ed assaporarti il sangue mi fa vibrare tutto il corpo mentre combatto la mia personale guerra tra il bene ed il male; la necessità di mantenere un equilibrio nel saziare contemporaneamente il mio demone ed il mio bisogno d’amore.  La mia bramosia mi acceca la mente e mentre la mia mano scivola dal tuo seno più giù verso la pancia tastando l’incavo del tuo ombelico fino al tuo pube coperto ormai da una sottile peluria, mi accorgo di aver lasciato la presa del tuo braccio per slacciarmi i pantaloni.

Con un movimento fluido poggi entrambe le mani sulla porta e ti spingi via da essa come un esplosione, colpendomi con gran forza la faccia con la tua nuca, scaraventandomi così a terra mentre un sapore metallico mi riempie la bocca. Senza perdere un attimo in esitazioni ti giri e cominci a colpirmi ferocemente il volto sanguinante ed l’addome dolorante con i tuoi delicati piedi nudi che spesso baciai nei momenti di passione. Solo a scapito della protezione del mio viso riesco a riparare i miei genitali dalla tua furia liberatoria. Una furia così brutale quanto giusta, in quanto assapori tutto l’odio e la vendetta che si mescolano e bruciano in te come un sole morente prima di una supernova, sino ad esplodere in un ruggito tempestoso che ti consuma l’anima in un battesimo di fiamme. Lasciandoti solo il vuoto dove una volta c’era un sentimento. Con orrore cadi in ginocchio piangendo perché sai che ora sei diventata più simile a me.

mercoledì 21 novembre 2012

La stanzetta


Eri là ad aspettarmi, seduta ansiosa sul letto sfatto nella piccola stanzetta dello sconosciuto condominio. Un angoscia sempre più irrequieta cominciò a pruderti sotto la pelle, ma non perché temevi che non arrivassi, ma perché sapevi che sarei potuto tornare. Fissi la porta senza battere ciglio o contare le ore che passano inosservate nella luce artificiale della cameretta immersa nel gelo del più muto silenzio. Un rumore lontano, qualcuno che sale la tromba delle scale, ti risveglia dal tuo torpore. I tuoi occhi diventano subito acuti, il tuo fiato si accorcia rapidamente, il tuo cuore batte allarmato, ed il tuo seno sobbalza sotto la camicetta strappata nel nostro ultimo incontro ad ogni sensazione di rumore di serratura. L’orecchio si tende sino ad assordarsi del tuo flusso sanguigno che ti pulsa nel cranio. Ma nulla. Chiunque sia, sembra svanito e l’incertezza sul tuo destino cresce ancora di più fino a dissolversi in un silenzioso pianto che riesci però a controllare prima che una lacrima salata ti riga il fragile volto. Dagli iniziali incontri furtivi, quasi romantici, hai solo ancora un distorto ricordo come di un bel sogno finito di soprassalto. Ed ora, ogniqualvolta passo a trovarti non sai mai se ti riserberò parole dolci o fatti amari, se ti amerò devotamente o ti violenterò brutalmente. Sai solo che sei mia. Il mio caldo giocattolo interattivo, senza voce ne anima. La valvola di sfogo per le mie più intime passioni o le mie più fredde depravazioni.

Il tuo respiro si rilassa, seppur il tuo sangue continua a pompare adrenalina nelle tue violacee vene sotto la candida pelle in questo silenzio opprimente, creandoti formicolii in tutto il corpo. Ma sei troppo straziata e stanca per massaggiarti gli arti o alzarti in piedi. Eppure non sei spezzata; rimani seduta, immobile, a sfidare una porta chiusa che ti separa dalla vita.

La Vita: un dolce ricordo di libertà. Anche se non eri mai riuscita a gestire la tua vita all’ora, il mondo là fuori sembra ora senza oppressione o limitazione. Ormai non c’è più nulla nel mondo che ti può spaventare. Tu sei diventata più forte rinchiusa in questa stanzetta, ne sei consapevole. Eppure non riesci a oltrepassare il muro delle tue convinzioni. La disperazione di essere prigioniera di un maniaco, la consapevolezza di non avere “armi” per difenderti e di essere quindi alla mercé della mia statura dominante, la sensazione che una sola mia parola ti possa far cadere tutte le difese e ributtarti nel baratro della inerzia. Là fuori sapresti cosa fare, adesso, ma per giungervi devi affrontare il qui e ora, ma la paura ti paralizza la mente. Ogni tua riflessione striscia lenta e tortuosa come se dovesse scalare un monte sommerso nella gelatina. Solo la speranza di libertà, un pensiero luccicante come una stella nella notte, riesce a tenerti combattiva e a rincuorarti nei momenti peggiori. Non accetterai il tuo destino senza combattere.

Una chiave s’infila nella serratura e gira fino al secondo scatto. Entro nell’anticamera, sai che sono io, i famigliari rumori dei miei passi sulla moquette il rumore delle persiane che si alzano, la luce che comincia a filtrare sotto la tua porta ancora chiusa. Cominci a tremare, ma sopprimi l’impulso di lasciarti andare al panico anche se l’angoscia sta per avere il sopravvento. Non sai cosa succederà, non sai se vivrai o morirai. Preghi solo che il tuo nefasto destino conti qualcosa nel aldilà e che i tuoi peccati vengano lavati dal tuo sangue quotidianamente versato. La vita è cruenta ed i cattivi vincono sempre, perché il male viene tramandato tramite il dolore che inevitabilmente ci accompagna e ci tiranneggia per tutta la vita. Ma bisogna resistere e combattere per quello in cui si crede, anche se morire in una stanza sconosciuta e silenziosa non è peggio che aver sprecato la vita senza conoscere la verità. E la verità è che … la porta si spalancò con un botto facendo entrare la calda luce del Sole e la gelida ombra di una sagoma senza volto.